Lo scorso 28 giugno Stefano Piccirillo ha raggiunto un traguardo importante, i suoi primi 35 anni di radio. Ce lo immaginiamo bene soffiare tutte quelle candeline sul microfono. Ed eccolo qui che ci parla della sua carriera e del suo percorso unico alla radio, fatto di rapporti, di emozioni… di vita.
Come hai trascorso questo compleanno speciale?
Innanzitutto facendo quello che ho sempre fatto con un’emozione, una voglia e una gioia ancor più grande: cioè trasmettere. L’ho trascorso con i nostri ascoltatori, che durante la data del 28 giugno mi hanno ricoperto di amore, di attenzioni, di parole belle rispetto a questi 35 anni di carriera. I messaggi che ho ricevuto da parte di amici e colleghi sono stati meravigliosi.
L’ho vissuta molto guardando alle tante cose che ho fatto. Lavorando ogni giorno non te ne rendi conto perché sei preso da tante cose, ma quando ti guardi un attimo indietro scopri che hai fatto veramente tanto, arrivando poi ad un punto dove vuoi fare ancora tanto. Uno si ferma e pensa: ho fatto questo e quello, ho lavorato con questo e quello, ho vissuto in queste città, ho fatto esperienze di vita e di lavoro e mi sento ancora come se fossi al primo giorno. Può sembrare la frase più banale del mondo ma è autentica. È proprio la voglia di fare radio esattamente come quando ho cominciato. Quindi sono stati giorni molto belli accompagnati da tante emozioni, anche nella vita privata, con una persona che mi ha reso felice con la sua presenza e i suoi auguri, si chiama Maria Chiara. È stato un momento veramente bello dove c’era la consueta e spontanea voglia di andare avanti e fare bene.
Una delle cose che ti rende un bravo conduttore agli occhi, anzi alle orecchie degli ascoltatori è la tua capacità di essere vicino alle persone. In che modo entri in sintonia con loro? E come si fa a tenere vivo il rapporto?
Per me guardare un microfono significa guardare le persone che mi ascoltano, non immaginarle. Perché quando immagini qualcosa poi la realtà è così dirompente che tutto ciò che hai immaginato può essere relativo, lontano da quello che poi vivi nei fatti. E quando guardo un microfono penso a tantissime tipologie di persone, dallo studente alla famiglia, alla persona adulta, al lavoratore, a colui che gira senza una meta, chi deve fare un esame importante o un concorso, chi ha un’attività commerciale. E allora cerco di immedesimarmi nelle vite alle quali parlo. Questo fa scattare qualcosa di estremamente naturale a livello empatico. Perché ogni volta che apro la bocca davanti al microfono non do mai niente per scontato. Non butto mai via nessun intervento in modo didascalico, ma c’è un’emozionalità e un’intensità che cerco di rendere sempre vive e mai banali.
È mai capitato che un ascoltatore sia diventato poi anche un amico?
Sì, ci sono degli ascoltatori che sono diventati miei amici o conoscenti, che sono venuti in radio a trovarmi. Prima mandavano delle lettere oppure dei regali, adesso è tutto molto più diretto e naturalmente devi avere un’attenzione molto importante nel rispondere agli ascoltatori e capire che tipologia di messaggio o curiosità arriva, però sì, è capitato.
Il tempo passa, la radio cambia, si evolve, e questo comporta anche un continuo mettersi in discussione. È qualcosa che fai con rinnovato entusiasmo o ti risulta un passaggio obbligato?
Se fosse un passaggio obbligato non riuscirei a fare quello che faccio. È una cosa naturale, come l’evolversi del linguaggio. Io non parlo come quando avevo quindici o trent’anni, e così come cambia la mia vita e la mia persona, cambia anche il mio lavoro. È una crescita naturale e il mezzo radiofonico si è evoluto molto, questo è un bene perché permette a noi che cresciamo ogni giorno di avere una reciprocità. Però è anche vero che c’è un aspetto molto strutturato e concreto nelle basi del fare radio e nel parlare agli ascoltatori che non prescindono dalla tecnica, dal talento, dalla creatività, dal tuo saper fare radio.
Spesso ascolto discorsi sui ricambi generazionali, io stesso lo sono stato ma c’è una cosa che probabilmente sfugge a qualcuno. Non è una questione di età ma si tratta di un ricambio naturale di conferma di talento. Il ricambio avviene all’interno della stessa persona, ovvio che si dà spazio a ragazzi che fanno radio molto bene, ce ne sono tanti e sono molto bravi, ma questo non vuol dire che un ragazzo di venticinque anni prende il posto di uno di quaranta per un fatto di età. Deve essere più bravo. Ed è il pubblico a decidere, è l’editore, sono gli ascolti. Tre elementi fondamentali attraverso cui si decreta la continuità di un lavoro. Se io sono l’editore e so che Stefano non solo mi garantisce un prodotto ma lo evolve ogni giorno con tutta l’esperienza e la professionalità che ha, quindi immagina un eterno ragazzo con tutta questa esperienza, è un mix pazzesco no? Prima di tutto noi conduttori dobbiamo confermare ogni volta il nostro talento.
In questo la radio è molto meritocratica. Se un conduttore piace, il riscontro positivo arriva direttamente dagli ascoltatori…
Brava, la radio è meritocrazia, non carta d’identità.
Di cosa sei grato alla radio?
Di avermi cambiato la vita più volte, di avermi fatto vedere città diverse, situazioni di vita diverse, di farmi conoscere un mondo attraverso la radio, di fare tante vite che hanno completato la mia persona e che mi hanno dato forza. Vite che hanno costruito la persona di Stefano. Probabilmente se avessi fatto un altro mestiere sempre nella stessa città, ad esempio l’impiegato, quel concetto di lavoro stanziato mi avrebbe ucciso, per come sono fatto. La radio mi ha dato più coraggio di agire e di avere questo approccio, perché sono una persona che vive molto le emozioni, e lo fa in modo intenso. La radio amplifica questo mio essere e sono molto grato per questo.
In questi anni hai conosciuto tantissime persone nel mondo della radio e della musica. Qual è stato l’incontro più bello che ti porti dentro?
Come faccio a risponderti? Per quanto riguarda gli artisti, quando parlo con Ligabue è sempre un’esperienza pazzesca, quando parlo con Jovanotti idem, con Giorgia, con J-ax, con Claudio Baglioni, Antonello Venditti, Edoardo Bennato, Francesco De Gregori, ma anche i The Giornalisti, Calcutta… con tutti c’è sempre qualcosa di speciale.
Allora proviamo così: mi puoi dire quello più recente?
Ieri ad esempio abbiamo fatto questa intervista con Frankie hi-nrg che ha scritto un libro molto bello, si chiama “Faccio la mia cosa”, ma è soltanto l’ultimo tassello. Ho avuto la fortuna di intervistare e di conoscere molti degli artisti italiani, anzi quasi tutti tranne Mina e Celentano, quindi sicuramente oltre ai nomi che ti ho fatto ne avrò dimenticati tantissimi. E sono tantissimi anche gli incontri con le persone che ho trovato sul mio cammino professionale, dai maestri della radio a quelli che sono diventati fenomeni, a quelli che ancora non lo sanno e che io stesso ho formato. Ho incontrato tanti artisti top, quindi anche se ti dico quando sono stato ai Grammy Awards a New York e ho parlato con Aretha Franklin, o anche con Joe Cocker è stata un’esperienza fantastica. Però per me è fantastico anche parlare con l’artista indipendente, perché poi dipende dalle persone.
Se potessi tornare indietro di 35 anni, cosa diresti allo Stefano di allora? Gli daresti qualche consiglio?
Gli direi “fai cagare”. Perché quando ho cominciato avevo sedici anni e mezzo, ero “sporco” con la voce, come si dice in gergo. Ero un ragazzino con una timbrica forse interessante ma con una voglia e una curiosità pazzesche, si vedeva che avevo l’entusiasmo. E quindi avrei detto “Stefano, costruisciti!”.
Come vedi i tuoi prossimi anni in radio?
Li vedo pieni, sempre con la stessa voglia che ho oggi e che avevo tanti anni fa. Anche con più voglia, perché credo che se ho fatto questo per tanti anni vuol dire che sono nato per fare radio e quindi devo anche morire facendo questo. La prendo ironicamente perché la vita è un passaggio. Nella vita cogliamo delle occasioni ed altre non le cogliamo. A volte ci sono dei rimpianti, a volte delle soddisfazioni. La vita è un tutto. Quindi farò questo finché sono vivo, se me lo permetteranno, e cercherò sempre di dare il massimo ma sarò sempre io, Stefano, nella sua essenza e nella sua intensità.