Nel 1980 i The Buggles cantavano “Video Killed The Radio Star”, canzone divenuta icona senza tempo.
Anche se mai come in questo caso il tempo ha modificato il corso delle cose, e la profezia del video che avrebbe ucciso le stelle della radio si è rivelata fallimentare.
Una nuova formula di fare radio: la radiovisione
Arriviamo rapidamente al 2007, le influenze del nuovo secolo sono in circolo da un pezzo. I The Buggles sono un lontano ricordo, eppure la canzone icona continua a essere mixata dai deejay e ballata dal pubblico bagnato da spruzzi d’acqua fresca. Fresca come la novità di quell’anno: la radiovisione. La prima emittente a sperimentare concretamente questa nuova formula di fare radio è RTL 102.5, colei che, attualmente, è la più ascoltata d’Italia. Un risultato che è merito anche del “trasferimento” della radio in video: tutto quello che accade in effemme è riprodotto dalle immagini. Parliamo di radiovisione pura: i conduttori radiofonici sono ascoltabili e visibili contemporaneamente; i contatti diventano videofonici e l’utente, di fatto, può scegliere su quale fascia mediatica sintonizzarsi.
Occhio all’ascolto…
Curioso è però sottolineare che negli indici di ascolto la radiovisione ha contato, lo scorso anno, solo il 7,14 per cento della fruizione totale. Un dato apparentemente microscopico rispetto alla metà dell’ascolto via autoradio, o del quasi 24 per cento legato ai classici apparecchi “da casa”; comunque superiore rispetto al play fatto sui moderni apparecchi tecnologici come smartphone e tablet. Dunque se dovessimo radioguardare i numeri parleremmo di un fallimento, dovremmo dire che la cara vecchia radio non si batte, quindi le cose non sarebbero cambiate più di tanto. Ma non è così.
Guardare la radio
Allora la domanda che dobbiamo porci è la seguente: la radiovisione ha aggiunto o tolto qualcosa alla radio? A rispondere è Simone di Biasio, autore del libro “Guardare la radio. Prima storia della radiovisione italiana”. Per di Biasio “la radio ha aggiunto” semplicemente “il suffisso – visione”. Ma “ha tolto qualcuno che si è ritirato dal progetto, persone che hanno abbandonato la propria radio perché aveva aggiunto la radiovisione”. Altra questione è il marketing allegato alla radio. Per l’autore del saggio, “la radiovisione resta una trovata commerciale per una diffusione capillare visto che la visione determina la nostra contemporaneità”. Pensare all’effetto economico-pubblicitario non è un male nell’era della sopravvivenza, a maggior ragione se “aggiungere la televisione permette di infiltrare quei canali di intrattenimento che prima non erano concessi alla radio”. In sostanza, possiamo dire che la radiovisione “ha aggiunto definizione senza togliere immaginazione”. Quindi, conclude di Biasio, “la radiovisione è vedere ciò che prima si ascoltava, ma ciò che si vede oltre è a discrezione dell’utente”. Al quale evidentemente resta l’ultima parola.