Canzoni che cantano “La Radio”
La canzone italiana ha sempre rivolto l’attenzione anche a fatti storici, episodi di cronaca, alle lotte politiche e a tutti quei cambiamenti che hanno caratterizzato la vita sociale.
Tra questi ultimi, senza dubbio, la c.d. liberalizzazione dell’etere – sancita dalla sentenza della Corte Costituzionale nel 1976, che ha dato il via al fenomeno delle “Radio libere” – ha costituito una novità assoluta per l’Italia: la “radio” diventava anche nel nostro Paese una componente integrativa sociale diversificata, più vicina e accessibile per tutti.
Le canzoni ed i cantautori iniziano a parlare di radio
Agli autori delle canzoni non è sfuggito questo innovativo fenomeno sociale; e, sebbene con assortita diversità, hanno iniziato a riservare un ruolo narrativo alla radio, “inserendola” all’interno delle proprie canzoni.
Il primo a compiere questo esperimento (almeno in Italia) è stato Eugenio Finardi; con assoluto tempismo – subito dopo la sentenza che liberalizzava la radiodiffusione sonora – rende omaggio alle Radio Libere con il celeberrimo brano “Radio libera” (E. Finardi, Album ‘Sugo’, 1976): “Se una radio è libera, ma libera veramente, mi piace ancor di più perché libera la mente”
Trasmettere in una radio privata diventava sempre più un’ambizione per i giovani; così come ascoltare l’emittente preferita, e poter interagire con lo speaker (andando in onda telefonando alla radio, magari di notte). Queste esperienze erano senza dubbio ‘rivoluzionarie’ ed affascinanti novità in quel periodo di cambiamenti nelle relazioni sociali.
Lo storico gruppo musicale dei Pooh ha sùbito percepito la particolarità di questo fenomeno e, nell’anno 1977, ha anticipato tutti raccontando uno spaccato di vita all’interno di una radio con la canzone “In diretta nel vento” (Pooh, Album ‘Rotolando respirando’, 1977): “Strano, il microfono è come un bambino gli parlo e non so se dorme o mi ascolta la luce è sciolta nel caffè. E ogni notte così, questa radio è il mio mondo coi dischi i giornali e gli scontrini del bar”.
L’occupazione in una radio libera, oltre che uno svago, diventava anche una nuova opportunità lavorativa. Spesso accadeva che, dopo anni di studi “tradizionali”, anche i giovani laureati si orientassero verso questa nuova possibile realtà occupazionale. Antonello Venditti, sempre attento ai fenomeni sociali delle varie epoche, ha colto la nuova tendenza di quegli anni e, sebbene con velate sfumature critiche, la racconta nella sua “Sotto il segno dei pesci” (A. Venditti, Album “Sotto il segno dei pesci”, 1978): “E Giovanni è un ingegnere che lavora in una radio”
La consacrazione del mezzo
La radio entrava definitivamente nel lessico dei parolieri di canzoni; anche Baglioni, tra i maggiori autori degli ultimi decenni, scopre ed utilizza la parola “radio” all’interno di una propria opera, sebbene con un accostamento svincolato dal recente fenomeno sociale della liberalizzazione dell’etere. Il “fatto storico” è per lui ancora più importante: con “Avrai” (C. Baglioni, Album “Alè-oò, 1982) Baglioni accoglie la nascita del figlio Giovanni, a cui esprime una serie di auspici per la sua vita futura, tra quello di poter ascoltare un giorno “una radio per sentire che la guerra è finita”.
In modo diverso anche Amedeo Minghi si accorge che il richiamo della radio può essere molto efficace ed evocativo, anche se con riferimento alla più tradizionale emittente pubblica; e, addirittura, a quella dell’immediato dopoguerra. In “1950” (A. Minghi, Album ‘1950’, 1983) si richiama il fascino indimenticato di “quella radio”, di quell’invisibile ponte che poteva finalmente collegare il mondo intero: “La radio trasmetterà la canzone che ho pensato per te, e forse attraverserà l’oceano lontano da noi, l’ascolteranno gli Americani che proprio ieri sono andati via e con le loro camicie a fiori colorano le nostre vie e i nostri giorni di primavera”.
E i nostri artisti si trovano spesso a girare il mondo, talvolta in paesi lontanissimi e con abitudini assolutamente diverse dalle nostre; nei tempi in cui non esisteva internet, la radio – oltre al telefono – poteva diventare per loro l’unico svago
ed un eventuale collegamento con l’esterno (e magari con l’Italia). Purtroppo ciò non sempre si rivelava possibile: lo racconta Gianni Togni: dopo il tour del 1982 in Giappone, scrive “Stanze d’hotel” (G. Togni, Album “Bollettino dei naviganti”, 1983) e sceglie proprio la radio per indicare – in modo emblematico – il suo disagio in estremo oriente:
“Radio che accendi viaggia soltanto verso una stazione, e ti fa già un favore”.
Torniamo in Italia con la canzone dal titolo più indicato per questa breve ricerca: “Canzoni alla radio” (Stadio, Album ‘Stadio’, 1986) con la quale il noto gruppo bolognese Stadio si presenta al Festival di Sanremo del 1986, classificandosi – purtroppo – all’ultimo posto. Ma è indubbio che la canzone – già per il titolo – resta uno dei più ricordati omaggi alla radio: “Se il sasso nel cielo è già una stella cometa, se fosse per questo che hanno inventato la radio”.
La radio è dovunque, quindi conviene citarla
La radio è in ogni casa, in ogni autovettura e in ogni locale pubblico; insomma è parte integrante della società italiana. Nel tracciare un resoconto del decennio che stava per concludersi Raf, all’interrogativo “Cosa resterà degli anni 80” (Raf, singolo, 1989), non poteva certo escludere proprio la radio: “Cosa resterà? E la radio canta una verità dentro una bugia”.
Ormai non è più una “ricercatezza” per gli autori; la radio è citata anche in contesti multietnici (Radio baccano – Jovanotti e Gianna Nannini, Album ‘X forza e X amore, 1993: “Radio baccano mondo cristiano indù buddista ebreo mussulmano fine del mondo segnale orario colonna sonora di questo scenario”), oppure evocata nel racconto di una notte alla guida nella pianura emiliana (Certe notti – Ligabue, Album ‘Buon compleanno Elvis’, 1995: “Certe notti la radio che passa Neil Young sembra avere capito chi sei”).
Insomma, gradualmente la radio è entrata nel lessico quotidiano ed in quello artistico, senza più la necessità di evocare la conquista della liberalizzazione dell’etere (“La radio a 1000 watt” degli 883, Album “La donna il sogno & il grande incubo”, 1995: “La radio a 1000 W l’asfalto piano piano passa e va la radio a 1000 W fino al tramonto ci accompagnerà”).
Ma il privilegio della radio libera, privata, svincolata dall’impostazione monopolistica “di Stato” mantiene il proprio fascio. L’esperienza di Ligabue – tramutata addirittura in un film – ne è una buona dimostrazione: “Credi, credici un po’ sei su Radiofreccia guardati in faccia e dopo credi, credici un po’ di più di più davvero”, dalla canzone “Ho perso le parole” (Ligabue, Album ‘Radiofreccia’, 1998).
La radio che merita di essere raccontata, insomma, sembra essere quella libera, quella per cui ci si è battuti negli anni ’70 e per la quale, in alcuni casi, si è pagato un prezzo altissimo.
Peppino Impastato ha sfidato la mafia dai microfoni di Radio Aut, radio libera da lui fondata nel 1977 a Terrasini (PA); per questo venne ucciso il 16 marzo 1978.
La storia di Peppino e della radio è stata mirabilmente raccontata nel film di Marco Tullio Giordana del 2000, intitolato “I cento passi”. Con lo stesso titolo, nel 2004, viene pubblicata la canzone dei Modena City Rambles (Album “Viva la vida, muera la muerte”) con cui la triste storia di Peppino (e della sua radio) viene raccontata in musica: “È nato nella terra dei vespri e degli aranci, tra Cìnisi e Palermo parlava alla sua radio”.
Ma la radio continua ad accompagnare anche i momenti lieti e spensierati della vita.
Con “Buonanotte Italia” J-Ax (Album “Di sana pianta”, 2006) racconta che un “lui sente radio fino a tardi e quindi ha sempre più sonno degli altri”; mentre i Negrita scherzano con una improbabile “Radio Conga” (Negrita, Album “HELLdorado”, 2008): “E canta d’amore la radio, amore per chi?” […] “È in onda radio Conga dal centro della jungla”.
Altri omaggi, frammenti di richiamo o semplici evocazioni meritano di essere richiamati in conclusione di questa breve riflessione:
“L’uomo del secolo” (Baustelle, Album “Amen”, 2008): “… e le radio ci trasmettevano canti di paura da cantare quando è sera”;
“Con la musica alla radio” (L. Pausini, Album ‘Laura Live World Tour 09’, 2009): “E balliamo a piedi nudi con la musica alla radio più forte mentre gli anni passano in questa casa che profuma in ogni angolo faremo il nostro simbolo”;
“Un colpo all’anima” (Ligabue, Album “Arrivederci mostro”, 2010): “Tutte queste radio piene di canzoni che hanno dentro un nome ecco chi sei!”;
“Nostalgia” (Elisa, Album ‘Ivy’, 2010): “And we’ll turn into a radio song we’ll forget those red eyes and silly alibies we’ll…” (traduzione: “E ci trasformeremo in una canzone radiofonica ci dimenticheremo quegli occhi rossi e sciocchi alibi che faremo”).
Lo strumento che più di ogni altro consente di ascoltare le canzoni (la radio) viene attratto all’interno delle canzoni stesse, per divenirne parte integrante del tessuto narrativo, ed essere così omaggiata dagli autori e dagli interpreti.