Doveva essere la rivoluzione dei professionisti con la voce, ma a conti fatti oggi Clubhouse appare come un campione incompiuto, un talento grezzo che non è riuscito a esplodere come dovrebbe.
Perché sì, Clubhouse esiste ancora, ma in toni decisamente minori rispetto al passato: basti pensare che, in base ai dati diffusi dal Garante della Privacy, nel 2021 questo social media contava più di 16 milioni di utenti globali e circa 90mila in Italia, mentre secondo quanto riferisce AGI il suo valore dell’epoca era di 4 miliardi di dollari. Oggi però non è così: cos’è andato storto?
Che cos’è Clubhouse?
Piccolo passo indietro. Durante la prima fase della pandemia da Coronavirus, con il conseguente lockdown che ci ha rinchiusi nelle nostre abitazioni, Clobhouse ha iniziato a spopolare nel mondo e in Italia, raccogliendo svariati utenti in stanze virtuali dove scambiarsi delle note vocali. Questa applicazione venne creata da Rohan Seth e Paul Davison ed è gestita dalla società statunitense Alpha Exploration.
Il funzionamento di Clubhouse è abbastanza semplice. C’è una stanza che raccoglie un numero di persone che assistono a una sorta di dibattito tra gli speaker basato sulle interazioni vocali, come fosse una conferenza stampa, un workshop o una diretta radiofonica. Nel corso del tempo sono state introdotte numerose funzionalità, che però non hanno permesso a Clubhouse di restare sulla cresta dell’onda.
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Cosa non ha funzionato in Clubhouse?
Come segnala il Garante della Privacy, da gennaio 2022 Clubhouse ha aperto la possibilità agli utenti di conservare, registrare e condividere con terzi le registrazioni delle stanze. Una strategia che non ha aiutato a dare una svolta a questa creatura: in base ai dati dell’analista di SensorTower Abe Yousef diffusi all’AGI, nel 2022 le installazioni di Clubhouse sono diminuite dell’83% su scala globale, mentre nel 2021 sono diminuite del 95% in Italia. Insomma, cosa non ha funzionato?
In primis, le numerose violazioni riscontrate dal Garante della Privacy. Fu uno dei principali temi sollevati a seguito dell’incredibile popolarità raggiunta dal social, che ha portato il 5 dicembre 2022 a ricevere una multa di 2 milioni di euro dalla stessa Autorità. I motivi sono svariati:
- scarsa trasparenza sull’uso dei dati degli utenti e dei loro “amici”;
- possibilità per gli utenti di memorizzare e condividere gli audio senza consenso delle persone registrate;
- profilazione e condivisione delle informazioni sugli account senza l’individuazione di una corretta base giuridica;
- tempi indefiniti di conservazione delle registrazioni effettuate dal social per contrastare eventuali abusi.
Oltre a questi grossi limiti, Clubhouse ha pagato scelte non proprio edificanti per la cementificazione del proprio prodotto. Ricordiamo, ad esempio, che per molto tempo l’app è stata disponibile solo per i sistemi iOS, mentre per la versione Android abbiamo dovuto aspettare il maggio 2021, mentre quella web nel gennaio 2022: ormai però l’attenzione sul social era già nettamente calata.
Ci sono invece altre scelte che hanno snaturato il principio base di questo social, cioè essere una stanza esclusiva basata su interazioni vocali. Di fatto, altre iniziative applicate a questa realtà ne hanno destrutturato la natura: pensiamo ad esempio all’introduzioni delle chat, all’opzione Wave per organizzare gli eventi in maniera più rapida e alla possibilità di creare stanze private con regole proprie grazie ad House.
Poi, ovviamente, c’è stata una concorrenza spietata: gli altri social media hanno subito copiato l’idea per frenare i propri consumatori dal migrare verso Clubhouse: nacquero infatti Facebook Live Audio Rooms, Spotify Live, Twitter Spaces e tanto altro ancora.
Ma, c’è anche da ribadirlo, Clubhouse non ha saputo trovare una propria nicchia precisa. Mentre ogni social media è diventato celebre per una determinata particolarità, queste stanze private non hanno saputo ramificare le proprie fondamenta nel mondo a lui più congeniale: quello della voce.
E allora forse c’è stata anche una concorrenza interna al proprio settore. Sicuramente Clubhouse ha cementificato l’idea che a ognuno di noi piacerebbe parlare al microfono, ma è una dinamica che già esiste da tempo: prima con la radio, oggi con i podcast, che sono due mondi decisamente più attraenti.
In particolare, oggi i podcast sono lo strumento del presente in quanto accessibili a tutti, condivisibili ovunque e meno elitari. Clubhouse invece ha sempre poggiato la propria idea sulle stanze elitarie, dove esserci vuol dire contare qualcosa, lasciando fuori gli ‘sfigati’. Non proprio un biglietto da visita capace di raccogliere, mantenere e moltiplicare la propria fanbase.
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Immagine di copertina: Christoph Dernbach/dpa via Getty Images
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